La sindrome dell’impostore…

Nel percorso di ogni imprenditore arriva sempre un momento in cui ci si sente inadeguati. Interrogarsi sulle proprie competenze, sul proprio ruolo, sulle modalità di effettuare delle scelte, sugli errori organizzativi.


Cos’è la Sindrome dell’Impostore?
La “Sindrome dell’Impostore” fu coniata nel 1978 dalle psicologhe Pauline R. Clance e Suzanne A. Imes.
Si tratta di un fenomeno psicologico in cui le persone dubitano delle proprie capacità e vivono una paura persistente di essere smascherate come “frodi”. Nonostante comunque dei segni del successo, spesso l’imprenditore che si sente inadeguato attribuisce i successi alla fortuna e a fattori esterni, piuttosto che alla sua bravura.

L’idea di non essere sufficientemente preparato, di non saper affrontare i cambiamenti crea delle insicurezza che spesso diventano un vero problema nell’organizzazione del lavoro.

L’esigenza poi del mondo moderno di rispondere ad una serie di stimoli con efficacia, competenza e velocità mette ancora più sotto stress questa figura.

Dall’altro lato un po’ di insicurezza porta però a riconoscere i propri limiti, a fare maggiore attenzione, ad apprendere continuamente e a riconoscere i propri limiti facendosi aiutare da un management efficace in grado di contribuire positivamente all’organizzazione e alla gestione aziendale.

La sindrome dell’impostore può diventare quindi una sfida per la ricerca dell’eccellenza e bisogna smettere di paragonarsi a grandi casi di successo e invece cominciare a valorizzare e riconoscere le proprie strategie vincenti.

Liberarsi completamente della sindrome dell’impostore non è semplice, ma questi consigli potrebbero sicuramente aiutarti. Per prima cosa, può essere utile fare un inventario dei tuoi talenti, delle tue esperienze professionali, delle tue conoscenze e capacità, in modo da convincerti che sei definitivamente qualificato/a per il tuo lavoro o per un determinato ruolo. In questo modo, potresti renderti conto di quanto siano basse le probabilità che qualcuno possa accusarti di essere un imbroglione.

In questo senso, anche mentori e colleghi di lavoro possono aiutarti a far risaltare le tue capacità e qualità: non esitare a chiedere loro un feedback onesto e sincero sul tuo modo di lavorare, sulla comunicazione o sulla realizzazione dei tuoi progetti.

Tamagotchi

Ricordate il Tamagotchi? Il gioco che spopolò in tutto il mondo negli anni Novanta e Duemila: una console in miniatura a forma di piccolo uovo con tre pulsanti, sul cui schermino appariva un animaletto – il virtual pet – che andava costantemente nutrito e intrattenuto, e di cui bisognava pulire le feci virtuali, pena la morte. Da bambino non conoscevo la differenza tra AM e PM, e per questo passai diverse notti insonni a vegliare sulla bestiolina digitale. Fu così che fortunatamente smisi di usarlo per sempre.

Vale la pena ricordare che i creatori del Tamagotchi vinsero nel 1997 il premio Ig Nobel per l’economia «per aver dirottato le ore lavorative di milioni di persone nell’allevamento di animaletti virtuali».
Capaci di generare una dipendenza clamorosa, furono sostanzialmente sostituiti dalla loro evoluzione diretta, ossia altri oggetti con pulsanti e schermo chiamati volgarmente “Smartphone”, simulatori di vita in cui l’animaletto virtuale di cui prendersi cura è… il giocatore stesso.

A guardarlo bene, possiamo dire che il Tamagotchi fu un allenamento di massa a quella simulazione esistenziale che caratterizza oggi le nostre giornate.

Passiamo gran parte del nostro tempo a curare mostri virtuali a cui diamo sostanza attraverso la nostra attenzione: i profili che gestiamo e guardiamo ogni giorno sono l’evoluzione diretta e condivisa di quella simulazione, con la differenza che quelli dentro la cornice siamo noi, a contatto con altri umani-Tamagotchi.

Vale veramente la pena tutto ciò ?

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