La società senza dolore

Byung Chul Han : La società senza dolore – perché abbiamo bandito la sofferenza dalle nostre vite.

Byung Chul Han, in queste dense pagine, prende in esame l’ineliminabile esperienza umana del dolore, per come essa è oggi considerata nella società che egli definisce “società palliativa”, una società in cui sopravvivere conta più del vivere, la salute, la sicurezza e il comfort in cambio dell’eliminazione del dolore.


La conseguenza è una società immersa in una anestesia permanente che non salva nemmeno l’amore, poiché anch’esso produce ferite, sofferenza e dolore. Han ritiene che sia questa spinta a sancire la vittoria del conformismo in ogni ambito: dal sociale alla politica, alla cultura.


La nuova formula di dominio che impone di essere sempre competitivi, performanti e felici, fa sì che ognuno si tenga occupato solo con se stesso, espellendo l’Altro dal suo orizzonte emotivo, reificandolo e, quindi, consumandolo.


La tendenza del “pensiero positivo, dell’ottimismo ad ogni costo” affermatasi negli ultimi decenni, ha, dunque, prodotto, eliminando la dimensione del dolore, l’arresto della rivoluzione dell’uomo.


Vince l’Edonismo, benché Empatia e Resilienza siano, al contempo, i termini che si sono affermati, evidenziando il cortocircuito di cui l’individuo è preda, una palude da cui non si esce poiché il potere ha capito e gioca sporco nella sua falsa premura di venderci sicurezza, comfort, e un poco di libertà in cambio della nostra anima.


La difficoltà di capire l’epoca in cui vivo, i suoi veloci e devastanti mutamenti, è diventato ancora più netto.

Alla ricerca dell’essenziale

“Agisco secondo il principio ‘less is more’ e mi chiedo che cosa può emergere dall’immagine, qual è l’essenza?”

Alla ricerca dell’essenziale nella fotografia è un approccio che spinge a cogliere l’essenza del soggetto, eliminando il superfluo per concentrarsi sull’autenticità e sull’emozione del momento. Questo stile si sposa bene con l’idea di utilizzare la fotografia come strumento di relax, perché favorisce un’attenzione consapevole e meditativa verso ciò che ci circonda.

Elementi chiave della fotografia essenziale:

  1. Minimalismo visivo
    Concentrarsi su pochi elementi, evitando il caos e rendendo ogni dettaglio significativo. Il minimalismo permette di creare immagini che comunicano calma e armonia.
  2. Luce e ombre
    Giocare con la luce naturale, cercando sfumature delicate e ombre che aggiungono profondità. La luce diventa protagonista e trasmette emozioni.
  3. Composizione semplice
    Utilizzare linee pulite, geometrie essenziali e spazi vuoti per trasmettere serenità. La composizione diventa un esercizio di equilibrio.
  4. Osservazione profonda
    Guardare il mondo con occhi nuovi, soffermandosi su dettagli che spesso passano inosservati: una texture, una tonalità, una forma.
  5. Espressione personale
    È un modo per raccontare emozioni e stati d’animo senza l’urgenza di “impressionare”. Ogni fotografia diventa un riflesso di chi la scatta.
  6. Uso del bianco e nero
    Togliendo il colore, ci si concentra su forma, texture e contrasto, accentuando l’essenziale.

Relax attraverso la fotografia

  • Mindfulness: Quando fotografi cercando l’essenziale, entri in uno stato di presenza totale. Ti concentri su ciò che è davanti a te, lasciando andare pensieri e distrazioni.
  • Connessione con la natura: Trovare momenti di relax fotografando paesaggi, dettagli naturali, o piccoli miracoli della quotidianità (una foglia, una goccia d’acqua, un tramonto).
  • Un momento per te stesso: La fotografia diventa un rituale personale, un modo per staccare dalla routine e dedicare tempo a un’attività che nutre la creatività.

Tecniche per iniziare

  • Porta con te una fotocamera o uno smartphone quando passeggi e sfida te stesso a scattare solo 3 foto davvero significative.
  • Esplora un tema per volta: linee, contrasti, ombre.
  • Usa una lente fissa (es. 50mm) per semplificare le scelte compositive.

Ti riconosci in questo tipo di approccio? O preferisci esplorare altre sfumature della fotografia?

“Ho bisogno della fotografia, come una sorta di terapia, mi aiuta a digerire meglio la mia vita, la rende più degna di essere vissuta.”

Contemplative Studies

I Contemplative Studies (o “Studi Contemplativi”) sono un campo di ricerca interdisciplinare che esplora le pratiche contemplative, come la meditazione, la mindfulness, la preghiera, la riflessione filosofica e altre forme di introspezione, sia da un punto di vista teorico che empirico. Questi studi uniscono approcci provenienti da diverse discipline, tra cui la psicologia, le neuroscienze, la filosofia, la teologia, la sociologia e gli studi religiosi.

  • Gli studi contemplativi non sono solo occasioni di sapere ma molto di più: sono veri e propri agenti di cambiamento e di trasformazione
  • Pratiche contemplative appartengono a tutte le culture, sia orientali che occidentali
  • La contemplazione è diversa dalla meditazione.
    La meditazione è una delle forme della contemplazione.
  • La meditazione è di due tipi:
    1. Riflessiva-speculativa (ad esempio quella cartesiana);
    2. Ricettiva (ad esempio quella Vipassana o Zazen).
  • Anche le pratiche artistiche (poetiche, pittoriche, letterarie) sono in potenza pratiche contemplative. E qui si apre un mondo.
  • Il concetto della ‘coniunctio oppositorum’ è fondamentale: le contraddizioni e i paradossi vanno accettati, gli opposti si tengono insieme
  • Gli studi sulla contemplazione sono recenti (Jon Kabat-Zinn scrive di Mindfulness negli anni Ottanta dello scorso secolo)
  • Il percorso di studio e di pratica va vissuto in prima persona (soggettività), in seconda (comunità dei discenti, dimensione dialogica, epistemologia relazionale), in terza (apprendimenti di contenuto)
  • Le pratiche contemplative sono relative a tre paradigmi, terapeutico, ascetico e conoscitivo (laddove l’ascesi è in realtà àskesis, quindi esercizio)
  • L’approccio multidisciplinare e interculturale è salvifico e potente
  • Il “punctum” di Roland Barthes diventa elemento chiave per comprendere il tutto
  • Il principio della complessità “tra l’ordine e il caos”

Obiettivi principali

  1. Esplorare l’esperienza umana: Comprendere come le pratiche contemplative influenzano il benessere, la cognizione, le emozioni e il comportamento.
  2. Integrare antiche tradizioni e scienza moderna: Analizzare e reinterpretare le pratiche di tradizioni spirituali e religiose in un contesto contemporaneo.
  3. Promuovere il benessere e l’educazione: Studiare come le pratiche contemplative possano essere applicate in contesti educativi, terapeutici e organizzativi per migliorare la salute mentale e fisica.

Applicazioni

  • Salute e benessere: Utilizzo di tecniche contemplative per la gestione dello stress, la prevenzione del burnout e il trattamento di disturbi psicologici.
  • Sviluppo personale: Potenziamento dell’autoconsapevolezza e della resilienza.
  • Educazione: Promozione di una maggiore attenzione e capacità di apprendimento negli studenti.
  • Leadership e organizzazioni: Applicazione nelle aziende per migliorare la consapevolezza, la comunicazione e la produttività.

Parlare di studi contemplativi come futuro della formazione significa riconoscere il potenziale trasformativo di queste pratiche per affrontare le sfide del mondo contemporaneo, caratterizzato da complessità, distrazioni digitali e necessità di una profonda capacità di adattamento e riflessione.

L’aggiunta di questo approccio cosa può offrire ?

1. Risposta al sovraccarico di informazioni

  • Problema attuale: L’iperconnessione e la sovrabbondanza di stimoli stanno diminuendo la capacità di attenzione, approfondimento e riflessione.
  • Soluzione contemplativa: Le pratiche contemplative, come la mindfulness, favoriscono il focus, l’autocontrollo e la capacità di gestire l’overload informativo, elementi essenziali per un apprendimento efficace.

2. Sviluppo di competenze trasversali (soft skills)

  • Esigenza del mercato: Le aziende e le istituzioni cercano individui capaci di resilienza, empatia, creatività e leadership.
  • Benefici degli studi contemplativi:
    • Empatia e collaborazione: Migliorano le relazioni interpersonali grazie alla pratica dell’ascolto profondo e della consapevolezza.
    • Resilienza: Preparano a gestire situazioni complesse senza reazioni impulsive.
    • Creatività: La riflessione profonda favorisce l’emergere di idee innovative.

3. Educazione centrata sull’essere umano

  • Limiti dei modelli tradizionali: L’istruzione spesso si focalizza su nozioni tecniche e nozionistiche, trascurando la crescita personale e il senso critico.
  • Prospettiva contemplativa: Gli studi contemplativi invitano a un’educazione olistica, che unisce mente, corpo ed emozioni, aiutando gli studenti a trovare un senso nel loro percorso formativo e nella vita.

4. Promozione della salute mentale

  • Crisi attuale: Ansia, depressione e burnout sono in aumento tra studenti e professionisti.
  • Contributo delle pratiche contemplative:
    • Riduzione dello stress e miglioramento della regolazione emotiva.
    • Maggiore consapevolezza dei propri pensieri e comportamenti.

5. Approccio interdisciplinare

  • Innovazione educativa: Gli studi contemplativi combinano neuroscienze, filosofia, arti, spiritualità e scienze cognitive, offrendo agli studenti un percorso formativo ricco e multidimensionale.
  • Valore aggiunto: Questo approccio prepara gli studenti a navigare in contesti lavorativi e sociali complessi, dove il pensiero critico e la capacità di sintesi sono fondamentali.

6. Strumento per un cambiamento culturale

  • Le pratiche contemplative non solo formano individui consapevoli, ma promuovono anche una cultura di pace, inclusività e sostenibilità, valori essenziali per affrontare le grandi sfide globali.

Esempi pratici

  • Mindfulness nelle scuole: Programmi che integrano la consapevolezza per migliorare la concentrazione e ridurre il bullismo.
  • Leadership consapevole nelle università: Corsi per studenti e dirigenti futuri che uniscono strategia e riflessione interiore.
  • Design thinking contemplativo: Unire creatività e riflessione per sviluppare soluzioni innovative.

Integrare gli studi contemplativi nella formazione significa preparare le persone non solo per una carriera, ma per vivere con autenticità e impatto in un mondo in continua trasformazione.

Vuoi approfondire e confrontarci sul tema ? Scrivi info@fabio.today

Elogio alla complessità

Osservando la società attuale non si può non dire che stiamo vivendo una vita complessa, una visione della vita che deve tener conto di una serie di variabili. Inoltre è necessaria la conoscenza per raccogliere informazioni di insieme e non notizie parziali o addirittura false per riuscire a farsi un’idea consapevole.

Spesso abbiamo paura della complessità e ricerchiamo la semplicità o la semplificazione, cerchiamo di evitare tutto ciò che ci richiede troppo tempo, concentrazione o impegno.

Viviamo nell’epoca della comunicazione istantanea, dei messaggi brevi, delle statistiche, delle emozioni immediate e rapide e delle vincite facili. La complessità è invece un tema da approfondire che ci può arricchire e dare la possibilità di estendere la nostra conoscenza.

Analizzare la complessità è una sfida che ci consente di affrontare i temi ed esserne critici e ci consente di ragionare sui temi che dovremmo affrontare per comprendere maggiormente.

Ignoranza
E’ uno dei problemi, maggiore è complesso il tema più difficile è comprenderlo ed affrontarlo.
Spesso l’ignoranza ci porta a banalizzare o negare un problema. Spesso non avere i giusti strumenti di comprensione ci porta a negarne l’esistenza.

Strumenti
La complessità richiede strumenti che ci permettano di dominarla e gestirla. Da ingegnere informatico so bene quanto sia importante analizzare bene un problema, evidenziarne gli aspetti critici, identificare gli obiettivi. Questa però è un’analisi solo basate su regole standard e oggettività che spesso ci fa mettere in secondo piano gli aspetti soggettivi e qualitativi che fanno parte comunque di una decisione ragionata e consapevole.
I numeri servono, assolutamente e indubbiamente. Ma sono numeri: non possono sostituire la capacità di lettura dei fenomeni e soprattutto dei segnali deboli, il giudizio qualitativo, le intuizioni e le inclinazioni dei singoli, la necessità di studiare e comprendere i contorni e le sfacettature.

Ridurre tutto al consenso
Un altro modo di evitare la complessità è quello di gestire le cose sulla base del consenso, che nel tempo dei social network e di Internet si manifesta nei “likes” o nei sondaggi istantanei.
Non è tutto lì il mondo per interpretare i cambiamenti, anche perché di solito rispondono solo i pochi che hanno voglia di mettersi in gioco e restano fuori la gran parte del pubblico. Spesso per gestire la complessità è necessario anche prendersi le proprie responsabilità personali.

Singolarità
Abbiamo paura di essere una anomalia, una singolarità, di essere solo noi a pensarla così… e quindi preferiamo conformarci al pensiero comune o quello della maggioranza. Questo perché magari la decisione da prendere è complessa e abbiamo paura di dovercela gestire da soli con magari anche il dissenso del gruppo.

Fallimento
L’errore è una macchina, è un elemento che non ci gratifica perché ci sentiamo sbagliati. Affrontare la complessità è invece più facile per chi non ha paura di sbagliare, oppure si assume l’eventuale rischio dell’errore che comunque è motivo di crescita personale, confronto, discussione, studio.
E’ dall’incontro di personalità diverse che cresce anche una comunità e la società stessa.

Vivere la complessità è quindi importante da gestire e ci possono essere degli elementi interessanti da analizzare.

  • La complessità va studiata e compresa
    Servono competenze, conoscenze e soprattutto una attitudine che spesso sottovalutiamo o ignoriamo.
  • La complessità va affrontata in modo organico e sistemico
    Non bastano cose già pronte ma servono capacità di analisi e di strutturazione dei problemi.
  • Per la complessità serve coraggio, intelligenza, pazienza, trasparenza e onestà intellettuale.

“Il pensiero complesso cerca di collegare ciò che è separato, di riconoscere le diversità nelle unità e di cogliere le interdipendenze.” Edgar Morin

“Nel mondo della complessità, non possiamo aspettarci di gestire i sistemi come macchine prevedibili, dobbiamo imparare a guidare l’imprevedibilità e l’adattamento.” Margaret Wheatley

Lavoriamo tanto, produciamo poco e siamo stressati

La sindrome da dipendenza dal lavoro è definita come un disturbo ossessivo-compulsivo di una persona troppo dedicata al lavoro, incapace di ritagliarsi momenti per sé ponendo, inevitabilmente, in secondo piano la sua vita sociale e familiare. L’aumento del numero di ore lavorate non sempre si traduce, però, in un aumento della produttività, perché la dipendenza da lavoro porta con sé stress, stati ansiosi e malessere (fisico e mentale).

Qualcosa però sta cambiando nel mondo del lavoro, a partire dalle sfere più alte, oggi sempre più aziende creano programmi di welfare aziendale che puntano anche l’attenzione verso un giusto rapporto casa/lavoro garantendo una migliore qualità di vita.
Inoltre, molti software, aiutano questa tendenza… per esempio il nuovo Outlook propone un avviso se scrivi un’email dopo le 18 di sera annunciando che potresti inviarla la mattina successiva, tanto cambia poco, ma eviteresti di disturbare il destinatario oltre l’orario presunto di lavoro.

Con il lavoro (se il lavoro è dignitoso e realizza la sua autonomia personale, punto essenziale della sua dignità), l’essere umano partecipa allo sviluppo economico, sociale e culturale dell’umanità; dà prova dei propri talenti. Il lavoro è fattore primario dell’attività economica e chiave di tutta la questione sociale e non deve essere inteso soltanto per le sue ricadute oggettive e materiali, bensì per la sua dimensione soggettiva, in quanto attività che permette l’espressione della persona e costituisce quindi elemento essenziale dell’identità personale e sociale della donna e dell’uomo.

Occorre richiamare anche un altro aspetto del lavoro. Esso si realizza normalmente in un ambiente sociale, in contatto e/o in collaborazione con altri lavoratori e con altri soggetti economici. È allora necessario che i lavoratori siano coinvolti nella gestione, in toto o compartecipata, dell’impresa che concorrono a formare. Che operi cioè il modello partecipativo nella forma di partecipazione dei lavoratori al processo decisionale normale e alle scelte strategiche dell’impresa e anche ai risultati economici della gestione stessa: una compartecipazione che permetta ai lavoratori di essere e sentirsi coinvolti appieno nella comunità produttiva di cui sono parte.

Secondo Roberta Maeran, docente di psicologia del lavoro all’università di Padova, uno degli elementi di maggiore novità nell’odierno panorama del lavoro è proprio la fluidità e la velocità dei mutamenti in atto: «Nel passato, i grandi cambiamenti erano relativamente limitati, o comunque prendevano forma in un arco temporale molto ampio. Oggi, invece, le condizioni cambiano quasi di anno in anno, rendendo difficile un’analisi compiuta dei fenomeni che osserviamo».

Questo cambiamento di attitudine nei confronti del lavoro è spiegato, almeno in parte, dal ricambio generazionale: «Le riflessioni sulla qualità di vita e sull’importanza del lavoro e della carriera sono divenute argomento di dibattito pubblico soprattutto con l’ingresso nel mondo del lavoro dei millennials», cioè i nati tra gli anni ’80 e ’90 del Novecento, spiega la professoressa.

Tra queste nuove generazioni sono molto più diffusi fenomeni come il quiet quitting o il down-shifting: quest’ultimo, illustra Maeran, «consiste nell’immaginare la propria vita lavorativa non in ascesa, con l’obiettivo di aumentare il proprio prestigio e fare carriera, ma piuttosto in senso discendente, rifuggendo ruoli di responsabilità e preferendo invece posizioni di lavoro subordinato. Questo, infatti, garantisce più tempo per sé e la possibilità di dedicarsi ad attività diverse dal lavoro», ma altrettanto gratificanti.

Il potere delle innovazioni semplici

C’è una crescente consapevolezza del valore di semplici innovazioni. “Non è necessario andare sulla luna per essere innovativi”, certe volte è sufficiente avere delle persone che possono guidare la tecnologia nel cambiamento di un processo per motivare e promuovere un cambiamento.

A volte non è una tecnologia sofisticata a fare la differenza, ma uno sguardo diverso, un modo nuovo di vedere o di fare le cose.
Tra imitazioni della natura, piccoli accorgimenti che hanno salvato milioni di persone e cambiamenti radicali di paradigma, possiamo scoprire che anche idee e innovazioni apparentemente semplici hanno avuto un impatto straordinario sulla nostra vita quotidiana.

La cosa migliore è osservare questi tre principi:

  1. Importanza della semplicità.
    Di che cosa hanno effettivamente bisogno i clienti? Come usano il prodotto? Quali aspetti sono strettamente necessari, quali invece possono essere anche lasciati da parte?
  2. Non reinventare la ruota.
    Si può partire da un prodotto o da un luogo già esistenti, modificarli e generare qualcosa di nuovo con valore aggiunto?
  3. Pensare orizzontalmente.
    È possibile unire ambiti finora separati come la mobilità, il settore alimentare e la sanità e sfruttarli come nuovo ecosistema intersettoriale? E non sarebbe possibile eliminare dalle aziende la mentalità a compartimenti stagni e impiegare la stessa persona per innovazione, sostenibilità e marketing? 

Promuoviamo l’innovazione semplice che può essere un efficace volano di competitività e miglioramento dello stile di vita.

Hai un progetto o un’idea innovativa… parliamone, il confronto può sempre essere costruttivo.

Fabio.

Perchè questo blog ?

Ciao a tutti!

Indovinate come mi chiamo ? Sono Fabio.

Questo blog è più un archivio di copia e incolla che un originale blog scritto tutto da me.
Purtroppo ho sempre poco tempo ma vorrei comunque raccogliere in un magazine spunti comuni da varie fonti di informazioni e qualche articolo originale.

Spero nessuno se la prenda per il copyright infatti la fonte per i contenuti non miei è sempre citata.

Per qualunque segnalazione, suggerimento o commento scrivete pure a info@fabio.today 

Le comunità virtuali creano solo l’illusione di intimità

Le comunità virtuali che hanno sostituto quelle naturali, creano solo l’illusione di intimità e una finzione di comunità. Non sono validi sostituti del sedersi insieme ad un tavolo, guardarsi in faccia, avere una conversazione reale. Né sono in grado queste comunità virtuali di dare sostanza all’identità personale, la ragione primaria per cui le si cerca. Rendono semmai più difficile di quanto non sia già accordarsi con se stessi. Le persone camminano qua e la con l’auricolare parlando ad alta voce da soli, come schizofrenici, paranoici, incuranti di ciò che sta loro intorno. L’introspezione è un’attività che sta scomparendo. Sempre più persone, quando si trovano a fronteggiare momenti di solitudine nella propria auto, per strada o alla cassa del supermercato, invece di raccogliere i pensieri, controllano se ci sono messaggi sul cellulare per avere qualche brandello di evidenza che dimostri loro che qualcuno da qualche parte, forse li vuole o ha bisogno di loro.

ZYGMUNT BAUMAN, Intervista sull’identità (Laterza 2003).

Fonte libriantichionline.com

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Tirame sù: un dolce che è un’emozione.

Ormai è certo il tiramisù, in dialetto trevigiano “Tirame sù”, nasce a Treviso nel 1969 presso il locale storico “Le Beccherie”, dove per la prima volta viene reso pubblico il dolce all’interno di un ristorante.
La sua origine sembra nascere dallo “sbattutin”, colazione a base di tuorlo d’uovo sbattuto con zucchero, che si faceva ai bambini per tirargli su e dargli forza con un pasto ipercalorico!
La proprietaria del ristorante “Le Beccherie”, con l’allora pasticciere del locale Roberto Linguanotto, comincia un periodo di sperimentazione che porta poi nel 1972 a realizzare la ricetta del Tiramisù originale di oggi con abbinando nella crema il mascarpone (rigorosamente fresco e non confezionato).

La ricetta del tiramisù originale
12 tuorli d’uovo non freddo non freddo da frigo
1/2 kg di zucchero
1 kg di mascarpone non freddo da frigo
60 savoiardi
q.b. caffè
q.b. cacao in polvere amaro

La preparazione originale
1. Preparare il caffè e lasciarlo raffreddare in una ciotola
2. Montare a spuma 12 tuorli d’uova con ½ kg di zucchero ed incorporarvi 1 kg di mascarpone ottenendo così una crema morbida. Il mascarpone va incorporato poco per volta, facendolo amalgamare bene.
3. Bagnare 30 savoiardi con caffè facendo attenzione a non inzupparli troppo e disporli in fila al centro di un piatto circolare.
4. Spalmare sui savoiardi metà della crema e poi sovrapporre un altro strato di 30 savoiardi bagnati con il caffè’, spalmare poi la superficie con la rimanente crema di mascarpone.
5. Cospargere il mascarpone con del cacao magro setacciato.
6. Mettere in frigo fino al momento di servire e comunque per almeno 3 ore.

Da ricordare, che la forma del Tiramisù originale alle Beccherie è circolare, veniva servito in “spicchi” e “contrassegnato” da un marchio in cacao riportante l’insegna del locale.

Alcune indiscrezioni:
Si narra nella leggenda che in realtà il Tiramisù sia nato ancora negli anni metà/fine 1800 come rinvigorente per gli uomini e per merito di una “maitresse” di una casa di piacere in centro storico a Treviso, che utilizzava il “tirame sù” come dolce a base di uovo, zucchero e rhum (stile zabaione) per riportare gli uomini ad un nuovo vigore al ritorno a casa per i loro doveri coniugali. Praticamente un viagra dell’800. Un po’ in stile “Signore e Signori” 🙂





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Coronavirus: torneremo alla normalità ?

In questo periodo di crisi, tutti cercando di fare analisi sul post-pandemia che sta ormai coinvolgendo pesantemente l’Italia ma a cascata tutti gli altri Paesi.
Purtroppo indipendentemente dall’esito di questo periodo, dovremmo abituarci a modalità operativi e uno stile di vita ed economico che nuovamente cambierà pesantemente le nostre vite.

Leggendo un articolo apparso sul MIT Technology Review, rivista ufficiale del MIT (rintracciabile qui https://www.technologyreview.com/s/615370/coronavirus-pandemic-social-distancing-18-months/) si capisce subito come la situazione non sarà semplice.

Dopo il periodo di crisi attuale avremo infatti la necessità di mantenere comunque lo stato d’allerta per un periodo prolungato, si stima almeno un anno, a meno che non si riesca in tempi brevi a raggiungere una cura e un vaccino.

Su questo lato tecnologico, stanno nascendo molti progetti per condividere risorse computazionali, prestazioni e conoscenze, in maniera di mettere tutta la capacità di elaborazione possibile a disposizione della ricerca medica per raggiungere presto la sintesi di una proteina in grado di sconfiggere questo virus.

Come cambieranno gli scenari ?

  1. Bisognerà mantenere comunque uno stato di allerta
  2. Determinate attività dovranno riqualificarsi in modalità nuove, magari a distanza per evitare l’assembramento di persone e quindi rischi inutili
  3. Ci sarà una crescita dei consumi on-line e di tutti quei servizi che lavorano “a distanza” come consegne a domicilio
  4. Ci sarà un maggiore utilizzo dei dati sanitari, degli spostamenti con la geolocalizzazione e questi dati saranno utilizzati per certificare lo stato di salute della persona o per garantire che non sia venuta a contatto con persone a rischio
  5. Sicuramente si svilupperanno tecnologie per l’intelligenza artificiale e per creare scenari di rischio così da evitare nuove pandemie.
  6. Dovremmo riqualificare l’economia, creando strutture di imprese più solide, con un profilo economico/finanziario in grado di sostenere periodi di criticità. Probabilmente molte piccole realtà verrano incorporate o potranno chiudere.
  7. Molte professioni cambieranno, ridimensionando il loro contatto con il pubblico allo stretto necessario utilizzando maggiormente tecnologie che dovranno migliorare e avere un accelerazione in termini di funzionalità e operatività per garantire la qualità del servizio.
  8. E molto altro… che oggi è ancora in realtà difficile da ipotizzare.

Che ne pensate ?

L’importante è non perdere la speranza, essere ottimisti e imparare ad adattarsi al cambiamento. Nuovamente.

Un abbraccio a tutti.

Fabio.